venerdì 13 aprile 2012

amore

poi una mattina arriva un messaggio. bello, bellissimo nella sua semplicità. poche parole e quelle giuste, puntini sospensivi calibrati, fatto apposta perché tu ci legga attraverso. capisci che è la stessa persona e lo stesso stato d'animo, che se cinque anni dopo - quasi sei - provate le stesse cose è perchè dovete fare la stessa strada. ci pensi su una notte, come lei, poi rispondi a tono e aspetti. ti eri quasi rassegnato, ora magari puoi ripartire con la vita che volevi e questo ti ribalta le emozioni. basta aspettare.

martedì 27 marzo 2012

vigor

pensavo alla morte di bovolenta. giochi a pallavolo, tac, caschi e un minuto dopo non ci sei più. pensavo che in fondo è quasi consolante, se consolante fosse la parola giusta: con tutta la scienza e i controlli e la medicina e le precauzioni che abbiamo, possiamo schiattare in un attimo senza rimedio. siamo sempre piccoli puntini nell'universo, puff, è finita.
è consolante, se consolante fosse la parola giusta, perché significa che la vita non è in nostro controllo. dunque è inutile che ci affanniamo, che ci angosciamo, che abbiamo paura: succede, può succedere, e non possiamo farci nulla. non è nemmeno detto che essere presi per i capelli sia un buon affare. è consolante, se consolante fosse la parola giusta, sapere che è inutile voler controllare ad ogni costo ciò che non è controllabile.
poi c'è il rovescio della medaglia: la fragilità. quel puff, e non ci sei più. i casi sono due: o vivi senza pensarci, o ti atterrisce questa pochezza.

giovedì 1 marzo 2012

opposti

oggi mi sentivo terribilmente fragile. debole. impotente. piccolo. eppure è un buon periodo, faccio cose vedo gente frequento posti nuovi. e sono reduce da un meraviglioso weekend al mare, di quelli che avevo sempre sognato.
sono atterrito dagli opposti che si attraggono fino a scontrarsi. l'altra sera guardavo lo straordinario video di randy pausch, il genio morto in sei mesi di cancro: l'ultima lezione ai suoi studenti, intrisa di amore per il mondo. stamattina è morto in pochi minuti lucio dalla.
opposti così uguali: sperimento la caducità umana e penso che no, non avrei il coraggio di morire anch'io, come dice una canzone di chiesa che adoro. sperimento lo scontro tra la voglia di vivere e la paura di morire: tutti sappiamo che accadrà, sappiamo anche che sarà un problema per chi resta, però rimane una cosa stordente e rimossa.
mi sento piccolo e inutile, a momenti avrei voglia di piangere per questa mia piccolezza. poi passa, poi torna, poi ripassa, poi ritorna.
sono un uomo.
(poi, mentre pubblichi il post, arriva l'sms con cui un amico emigrato ti annuncia che è appena diventato papà: e allora ritrovi un briciolo di sorriso)

mercoledì 22 febbraio 2012

e poi

ogni volta che sei lì, a un passo dalla normalità, ecco che tornano le tue paure, quelle che in fondo - oltre a impedirtelo - ti consentono di non volare. tu vuoi volare ma non vuoi, temi di cadere o forse temi di star su, comunque temi. sogni di fare le cose e al dunque ti blocchi. te l'hanno detto mille volte, che quelle palpitazioni sono ansia e non male. l'hai verificato mille volte, che se stai tranquillo sei capace di fare (quasi) tutto. sei stato testardamente bravo ad arrivare fin qui, ma devi sforzarti di vivere i salti di qualità. altrimenti, non avrai vissuto.
non aver paura, né di star male né di sbagliare. vai, prova, buttati, vivi questo weekend. lo fanno tutti, puoi farlo anche tu. provare per credere.
mi piacerebbe saper vivere tutto questo serenamente, senza retropensieri né angosce. ci provo.

giovedì 16 febbraio 2012

influenza

non sto bene, ho chiesto di stare a casa un giorno dal lavoro - con mille se e ma - e mi sento peggio di prima della telefonata al capo. perché detesto dribblare gli impegni, anche quando c'è un buon motivo. ho detto al capo, un buono col tono autorevole, che se hanno bisogno vado lo stesso. mi sono sentito un ladro quando gli ho detto l'entità della febbre (che c'è, non è poca, ma non mi pare mai abbastanza per giustificare il forfait). gli ho lasciato aperte dieci scappatoie buone per obbligarmi ad andare. lui, niente.
il ragionamento - faticoso - è stato: meglio un giorno - in cui tra l'altro avrei avuto compiti poco incisivi sul lavoro complessivo - che quattro o cinque per eccesso di eroismo. spero il capo capisca: so che è giusto che mi curi, ma mi terrorizza essere considerato una mammoletta.
me ne starò qui con fazzoletti, acqua, caramelle alla frutta, libri, termometro, tv e pc. che palle, eh.

sabato 4 febbraio 2012

senilità

quando ti rendi conto che il mondo in cui sei cresciuto non c'è più, ecco, quello è l'istante in cui cominci a invecchiare. non perchè ti senta vecchio, semplicemente perchè il tempo è passato. mi sorprende guardarmi attorno e scoprire che non si vive più come ho vissuto io da ragazzo.
per quanto sembri impossibile, il computer più sofisticato era la calcolatrice di scuola o al massimo il commodore 64 che somigliava a un registratore e si attaccava alla tv per dilettarsi coi primi giochi. i numeri di telefono si facevano senza prefisso, il cellulare non esisteva, in vacanza chiamavo la morosa dalle cabine con i gettoni marroni. in macchina, in treno, in pullman e persino in metro viaggiavamo anche d'agosto senza aria condizionata: per tirare su e giù i finestrini c'era la manovella. i bagagli si mettevano sul portapacchi, legandoli con gli elastici. il bancomat era una sciccheria per pochi eletti, figurarsi la carta di credito. usavo la macchina per scrivere, facevo le ricerche andando in biblioteca e sfogliando l'enciclopedia, per le copertine c'erano i trasferelli. scrivevo missive a mano, sulla carta da lettere, agli amici di penna.
ascoltavo la musica su dischi o cassette. guardavo i film al cinema, qualche volta per le cose ricercate andavo alla videoteca civica. d'inverno indossavo il passamontagna. le maglie da calcio erano di lana e cotone robusto. la tv trasmetteva in bianco e nero, giravano i primi telecomandi pacchiani: i programmi iniziavano a metà mattina e finivano a mezzanotte con l'antennone tra le nuvole della sigla di chiusura, c'erano tre canali in croce e quando sull'altro canale cambiava il programma lampeggiava un triangolino bianco. il massimo della trasgressione era chiudersi in bagno con un'anonima cartelletta di scuola: invece degli appunti c'era dentro un giornale porno. 
in moto si andava senza casco, in macchina senza cinture, c'erano semafori e non rotatorie. tutti giocavano al totocalcio, spopolava persino il totip. per vedere la serie a e le coppe dovevi andare allo stadio (la prima volta: settembre 1980, varese-milan). i piloti di formula uno rischiavano davvero la pelle e spesso ce la rimettevano (il primo che mi ricordo: peterson, monza 1978). nei cinema e nei locali pubblici si poteva fumare. il cancro era incurabile, lo chiamavano il male del secolo. i genitori temevano i professori dei figli e davano loro ragione, l'anno scolastico era diviso in trimestri e sono stato uno degli ultimi remigini. poche ragazze si depilavano e nessun uomo si depilava: i calvi tenevano il riporto, non si rasavano a zero. indossavamo pantaloni a zampa e dolcevita oggettivamente inguardabili. la gente si lamentava, poi si andava a votare e vinceva sempre la dc (questa è una frase storica di mio zio comunista).
sono stato bambino negli anni '70 e ne sono orgoglioso. è facile guardare con occhi benevoli quel mondo ingenuo e clamorosamente lontano: tutto doveva ancora succedere, tanto doveva ancora cambiare. non so se si vivesse meglio, ma sono sicuro che eravamo tutti più spontanei.

mercoledì 1 febbraio 2012

gabbiani

adoro la neve, perchè è poesia. domenica ho fatto due passi al lungolago, sembrava una cartolina. c'era un uomo che lanciava briciole agli uccelli che vivono sul lago: oddio, briciole, questo aveva tozzi di pane interi, non sa che le bestiole non hanno denti? mi hanno colpito i gabbiani: sono fetenti perchè sfruttano senza ritegno gli innegabili vantaggi atletici garantiti loro da madre natura. tipo che abbeccano (azzannano non sarebbe esatto, addentano neppure) il cibo anche al volo, per aria, essendo velocissimi nelle virate. oppure scelgono la strada della minima fatica: aspettano che una papera qualsiasi pigli il suo boccone, le fanno la posta, poi in due o tre la circondano a pelo d'acqua in stile gazzella-elefante e nove volte su dieci riescono a portarle via il grisbì. se una papera non esce a becco vuoto dall'inseguimento a perdifiato, merita di godersi la merenda in santa pace, dopo che ha chetato la tachicardia. poi sono arrivati due cigni maestosi e, con regale distacco, hanno fatto sentire tutti gli altri discoli a fine ricreazione.